Quando la scoperta di Champollion ebbe svelato il mistero da tanto tempo e così ardentemente cercato dei geroglifici, e gli scienziati poterono finalmente decifrare le iscrizioni che a migliaia coprono le mura e le colonne dell’immensa biblioteca architettonica dell’Egitto, gli è col più vivo stupore che entrarono in quel mondo pur dianzi presso che sconosciuto: alle opere di Erodoto e dei geografi greci si aggiunsero documenti più preziosi ancora, le «tavole» e i papiri scritti da quaranta secoli dagli Egiziani stessi. In grazia agli scavi di Mariette, continuati ora dal signor Maspero(686), in grazia alle letture di Lepsius, di Birch, di Chabas, d’Emanuele de Rouge, di Dümichen e di cento altri egittologi, la storia dell’antica terra del Nilo si ricostituisce a poco a poco; si impara a conoscere nella sua vita intima, nella sua morale profonda, per così dire nella sua anima, quel popolo al quale noi dobbiamo tanta parte del nostro retaggio d’idee. Checchè se ne dica, i cambiamenti furono considerevoli dai tempi raffigurati sui più antichi monumenti. Gli è vero che il tipo dei volti e le fisonomie possono ritrovarsi in tantissimi discendenti dei Retu; mode identiche si sono conservate, se non presso gli Egiziani, almeno presso i Nubiani da loro assoggettati; il metodo di coltivazione non si è affatto modificato, almeno quanto ai contadini, e come altra volta «la temperatura sempre uniforme dell’Egitto» rende, come ha detto Bossuet, «gli spiriti solidi e costanti». Ma gli avvenimenti della storia non potevano compiersi senza avere il loro contraccolpo nelle popolazioni egiziane: gli immigranti di ogni razza hanno modificata completamente la civiltà urbana; dopo di avere insegnato alle vicine nazioni, l’Egitto ha avuto bisogno a sua volta di insegnamento; Romani, Bizantini, Arabi, e altri popoli d’Europa, sono diventati suoi maestri.
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