Le principali malattie degli indigeni sono quelle che provengono dalla miseria; la peste, una volta così terribile e che nel 1834 e nel 1835 mietè 45,000 vittime ad Alessandria, 75,000 al Cairo, ha cessato di infierire contro le popolazioni egiziane; il colèra, che nel 1885 fece di Damietta un vasto ospedale, non flagella più che una minima parte del paese; ma l’anemia, causata dalla mancanza di nutrizione, infierisce in tutto l’Egitto, attaccando di preferenza i fanciulli. Non vi è paese al mondo dove i ciechi ed i monocoli siano più numerosi; sbarcando sulle banchine di Alessandria, lo straniero osserva tosto gli effetti dell’oftalmia contagiosa nella folla che gli si accalca attorno, e le sue osservazioni susseguenti, appoggiate dalla statistica(767), confermano cotesta prima impressione. La povertà del sangue, la riverberazione della luce sulle bianche mura e sulle acque del fiume, le subitanee alternative di temperatura e più di ogni cosa la polvere salina e nitrosa che si forma dalla decomposizione del limo nilotico, e che il vento solleva a turbini, sono le cause alle quali si devono attribuire coteste pericolose oftalmie; ciò non ostante i Beduini del deserto hanno quasi tutti una vista eccellente. Le mosche, la «piaga d’Egitto», contribuiscono certamente a mantenere ed avvelenare le oftalmie. Fa pena vedere i bambini attorno ai quali le mosche girano a sciami; essi non hanno neppure più la forza di scacciare l’insetto che si posa sui loro occhi ammalati, e, tristi, senza muoversi, aspettano che il sonno venga ad interrompere le loro sofferenze.
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