I terreni dei poveri coltivatori, divisi in piccoli appezzamenti intorno ai villaggi, e costituenti la metà del territorio coi possedimenti della comunità, sono tutti oberati da una tassa variabile, il caragi, la quale può essere accresciuta a beneplacito del governo, ma che in media è di un quinto del prodotto, come ai tempi di Giuseppe(773). Pagando questa imposta, il detentore del terreno non rimane meno a disposizione dello Stato; non è proprietario che per tolleranza, ed i suoi eredi non sono considerati come tali che dopo avere dato la prova di essere nel caso di coltivare il terreno concesso e soddisfare le imposte. Se essi vogliono trasformare le loro terre caragiate in possesso a titolo definitivo, devono prima pagare anticipatamente l’imposta di sei anni in una sola volta o a versamenti parziali; oltre al titolo, questi pagamenti anticipati procurano loro un esonero futuro di metà dell’imposta fondiaria. I terreni wakf (vakuf) appartenenti alle moschee ed alle scuole, cambieranno probabilmente di proprietario in tutto od in parte; cotesti beni di manomorta permetteranno al governo britannico di equilibrare il suo bilancio egiziano.
Ufficialmente, il più gran possedimento territoriale dell’Egitto sarebbe quello del Khedive; però questo dominio, la dairah-sa-nieh, diventato il pegno dei creditori europei dal 1878, è amministrato da una Commissione, la cui direzione non è in Egitto: i veri proprietari sono banchieri dell’occidente. Gran parte di questo dominio, è affittato ad impresari che subaffittano il terreno ai contadini; agli operai sono direttamente concessi campi, ma una distesa notevole della dairah, la quale sarebbe certo coltivata, se appartenesse ai fellahini, rimane incolta.
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