Come fa osservare Letronne, lo sfruttamento delle grandi cave di porfido nel monte Claudiano non si potrebbe comprendere se un canale da mare a fiume non avesse permesso di spedire per acqua gli enormi monoliti estratti dalla montagna: non si sarebbero potuti trasportare nella valle del Nilo di là dai monti e dalle rupi della catena «arabica». Il canale di Traiano era fatto per durare, come la maggior parte delle opere romane, e si mantenne in effetto durante secoli: Makrizi racconta che le navi vi passavano ancora nei primi tempi dell’islamismo. Amru, impadronendosi dell’Egitto, non ebbe che a riscavare il fiume di Traiano e ricostruirne le porte. La sua ambizione sarebbe stata più grande: egli avrebbe voluto aprire un canale diretto dal mar Rosso a Farama, sulle rive del golfo di Pelusio, utilizzando forse i tagli fatti da Dario e dai Tolomei; ma Omar, temendo, dicesi, che i Greci approfittassero di quella via di comunicazione per attaccare i pellegrini della Mecca, rifiutò la domandata autorizzazione. Il canale ristaurato da Amru non durò a lungo; centotrè anni dopo fu chiuso per ordine del califfo Abù Giafar el-Mansur, per impedire ai ribelli di ricevere viveri. Da quell’epoca sino ai tempi moderni, per lo spazio di dodici secoli, il lento lavoro della natura ha combattuta l’opera degli uomini; case, chiuse, barriere, sono sparite; i fossati furono riempiti dalle alluvioni e dalle sabbie, mentre nuovi stagni si scavarono al posto delle sponde; la forma del litorale ha cambiato sui laghi e sui golfi; ma rimangono ancora numerose vestigia delle costruzioni anteriori, egiziane, romane ed arabe; in parecchi luoghi, specialmente presso Suez, le dighe, costruite in pietra di una tale durezza che gli Arabi le prendono per scogli naturali, si ergono sino a sei metri di altezza(783). L’ampia barriera, della quale si vedono ancora le rovine, procurò probabilmente al limitare del Gisr il suo nome arabo che significa «Diga».
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