In molti luoghi le dimore dei fellahini, piccoli cubi di mattoni o di terra pigiata, ricoperti di giunchi o da una terrazza in argilla battuta, si vedono appena accanto ai piloni ed ai peristili dei templi. Da quando l’esplorazione scientifica dell’Egitto ha incominciato, bei monumenti furono dissepolti dalle sabbie che li avevano coperti, ma molti altri sono scomparsi; il salnitro, che satura le sabbie e le polveri alluvionali, corrode le pietre dei monumenti; i cercatori di tesori demoliscono le mura; gli agricoltori, che mescolano la polvere delle rovine colle terre per farne un’eccellente composizione, il sebakh, distruggono anche più. I forni da calce hanno consumato, strato a strato, i templi costruiti in calcare; i monumenti di grès, che non si possono molto utilizzare per le costruzioni moderne, sono quelli che furono più risparmiati. I villaggi egiziani portano i nomi più diversi, seguendo l’origine degli abitanti o la natura del terreno; sono nahieh, kafr, ezbeh, naq, abadieh o menciat; i villaggi fondati dagli Arabi, da nomadi diventati coltivatori, sono nazleh, vale a dire «discese», o colonie. I villaggi cambiano frequentemente di posto, in seguito alle inondazioni o ad un nuovo tracciato di canali; spesso anche cambiano di nome, secondo i proprietari acquirenti(790). In questi villaggi si vede ancora il vecchio Egitto: il paese è un «palimsesto, nel quale la Bibbia è scritta sopra Erodoto, il Corano sopra la Bibbia»; nelle città il Corano è più visibile; nell’interno del paese Erodoto ricompare(791).
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