Dopo avere descritto un gran meandro a valle di Esneh ed oltrepassato il grazioso villaggio e le fabbriche di zucchero di Erment, il Nilo entra nella pianura dove scorgonsi, sulle due rive, i monumenti interi o rovinati dell’agglomerazione tebana, una selva di palazzi, di colonnati, di templi e di ipogei; in nessun luogo tanti edifici religiosi offrono così magnifico insieme. Pure non resta più che una leggiera parte di ciò che fu la Tebe dalle cento porte; i quattro gruppi principali delle rovine che sussistono ancora, limitano uno spazio che non ha più di dodici chilometri quadrati. Ai tempi in cui No, la «Città» per eccellenza, più conosciuta sotto il nome di Pa-Amen, «casa di Ammone», era il centro del commercio e della potenza dell’Egitto, esso si spingeva assai più al nord, nelle pianure che costeggiano la riva destra. Al momento della piena del Nilo, i gruppi di monumenti si innalzano come isolotti in mezzo alle acque.
Luqsor (El-Aksorein), o «i due Palazzi», il villaggio più popolato fabbricato sul luogo dell’antica città, non occupa che un monticello artificiale, ammasso di rovine crollate; ma sotto queste capanne è in parte sepolto un bel tempio di recente dissotterrato; in faccia al monumento si ergono due obelischi che portano iscrizioni in onore di Ramsete II; non ne rimane più che uno; l’altro è quello trasportato a Parigi. Intorno al tempio non si vedono che informi ruderi e campi coltivati; ma verso il nord-est si prolunga un viale di due chilometri orlato di piedestalli e qua e là di teste di sfingi, con corpo di leone e teste di donna, che tengono tra le zampe anteriori l’effigie di Amenhotep III. A questo viale succede un viale di sfingi a testa di ariete, ed eccoci nel bel mezzo dei monumenti di Karnak, piloni, mura scolpite, volte a colonna, obelischi, sfingi, statue.
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