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      La camera sepolcrale di Menkera o Micerino, si trovava in una roccia, nucleo primitivo, sopra del quale era stata costruita la piramide; il sarcofago che essa conteneva si è perduto nelle coste del Portogallo colla nave che lo trasportava in Inghilterra.
     
      LA SFINGE. Disegno di P. Benoist, da una fotografia. [vedi figura 605.png]
     
      Nell’angolo formato al nord-ovest fra le due tombe colossali di Cheope e di Chefren, la pianura disuguale e ondulata è sparsa in tutti i sensi, come un immenso cimitero, da tombe e da necropoli ove dormono i sudditi dei Faraoni. Al sud, all’est, sono altri ruderi, mura e tombe, e sull’orlo dell’altipiano, circondato da dune, posa la sfinge, gigantesco guardiano delle piramidi. Il mostro, che guarda la pianura col suo occhio impassibile, è veramente «l’opera meravigliosa degli dêi», come dice un’antica iscrizione, una volta inesplicata; è una rupe di grès, alla quale il caso aveva dato gli indecisi contorni di un animale accoccollato, e che gli architetti egiziani hanno rivestito di una muratura destinata a completarne le forme. Le cavità considerevoli sono riempite da grosse pietre raccolte senz’arte, ma l’involucro esterno è composto di piccoli strati regolari, tagliati e scolpiti con cura, in modo da modellare persino i muscoli dell’animale che rappresentava il dio Harem-Ku, vale a dire, «Oro nel Sole Brillante», o «Oro dei Due Orizzonti»; una iscrizione scoperta da Mariette attribusce a Cheope la «ristorazione» di quel monumento. Gli indigeni dànno al colosso il nome di «Padre dello Spavento»(841) e di «Leone della Notte»(842). La camera o le sale che Vansleb o altri esploratori avrebbero viste nel dorso della sfinge, o dietro l’animale, non furono ritrovate; ma al sud-ovest, nelle adiacenze immediate del colosso, Mariette trasse fuori di mezzo alle sabbie un tempio sotterraneo, con enormi mura di granito rosa e di alabastro, rivestite coi più grandi blocchi calcari conosciuti; spoglio di ogni ornamento, pare appartenesse ad un’epoca di transizione fra i monumenti megalitici e gli edifici propriamente detti(843). La statua di Chefren che si è trovata in quel tempio, e che si vede ora al museo di Bulaq, è forse la più bella opera conosciuta della statuaria egiziana: a quell’epoca dell’arte, la regola ieratica non aveva ancora imposto agli scultori forme inflessibili.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume X parte I - L'Africa settentrionale
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1887 pagine 1017

   





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