Le muciarabie differiscono tutte per il disegno dei loro cancelli. I piani stessi contrastano con l’architettura e le sporgenze loro; in alcuni luoghi, tutta la parte alta della casa è posata sul pian terreno, a guisa d’un paravento cinese, e si ripiega a numerosi angoli perchè le donne possano guardare i viandanti a loro agio; travi collocate obliquamente da un tetto all’altro, stuoie stese a diverse altezze vi fanno alternare disotto il fresco ed il caldo; agli spazi cupi succedono subitaneamente distese di una candidezza abbagliante, dove turbina la polvere della strada. Pozze d’acqua, mucchi di spazzature e di rottami fermano il passeggiero, e piccole dune turbinanti si depongono nelle breccie delle muraglie.
In questo quartiere dell’antica città, la popolazione offre già una singolare varietà: Egiziani e Barberini, Arabi e Negri vi si incrociano nelle stradicciuole. Ma è principalmente nel Muski e nelle altre vie intorno al bazar, e dove si fanno gli scambi diversi tra indigeni ed Europei, che si vede la più gran diversità di tipi e di costumi, che si compongono e si trasformano incessantemente i quadri più curiosi. Lungo le mura vanno sgattaiolando, meglio che camminando, le donne velate, musulmane o cofte; massa ambulante di stoffe, esse non hanno di vivo che gli occhi, sogguardanti da una fenditura del velo che un fermaglio dorato rannoda alla pettinatura. Le donne della campagna, vestite di una semplice veste a lunghe pieghe che ondeggia liberamente secondo i movimenti del corpo, camminano quasi tutte a viso scoperto, offrendo le loro derrate ai passanti: Siriane, Levantine, Israelite, Europee, riconoscibili al loro tipo e al loro incesso, alle sfumature del costume, alla discrezione o alla mostra dei gioielli, attraversano la folla, fermandosi innanzi ai magazzini.
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