Terraneh, forse l’antica Terenuthis, è il deposito del salnitro raccolto nei laghi salini dell’Uadi-Natrun, presso il convento di San Macario; più in basso, Teirieh, all’uscita dello stretto viale di coltivazioni praticate tra le roccie della riva sinistra del Nilo, succedette essa pure ad un’antica città, della quale si vedono ancora i ruderi in una rupe vicina, Tell-el-Odameh, o «Poggio delle Ossa». Kafr-el-Zaiat, dove la ferrovia da Alessandria al Cairo attraversa il fiume su un gran ponte in ferro di dodici travate, non ha rovine faraoniche nei dintorni, ma ad una ventina di chilometri a valle, sulla stessa riva orientale del Nilo di Rosetta, si trovano le rovine di Sâ, la Sais dei Greci, chiamata ora Sa el-Hagar dai fellahini. Sâ, che era la capitale dell’Egitto quando Cambise invase il paese, è forse una delle città verso le quali l’umanità deve volger gli sguardi con pietà figliale, poichè è di là, secondo la leggenda, che partirono i coloni i quali fondarono Atene, portando seco l’immagine della Dea Neith, che diventò l’Atene dei Greci e la Minerva dei Romani; di là vennero le Danaidi, assidue al lavoro ingrato della coltivazione sugli sterili terreni d’Argo, così differenti dalle campagne native, inondate dal Nilo. Degli antichi templi di Sais non restano che avanzi, e nelle sue necropoli non è più dato scoprire che rari oggetti; ma il circuito di un percorso di due chilometri, desta meraviglia ancora colle sue enormi dimensioni: essa ha 25 metri di altezza e più di 16 metri di spessore.
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