Il progresso consiste specialmente in una rivoluzione nel modo di coltivazione. Alle piante coltivate ne’ passati secoli, se ne sono aggiunte delle nuove, nella stessa guisa che l’irrigazione artificiale completa ora l’irrigazione naturale, e le macchine a vapore forniscono l’opera degli aratri primitivi, quali ce li rappresentano i bassorilievi degli ipogei, o dei semplici bastoni acuminati, come se ne vedono ancora nel Darfur ed anche in Egitto, nelle vicinanze di Kom-Ombo(871). Nelle buone annate, la raccolta dei cereali varia dai 14 ai 15 milioni di ettolitri, dei quali 5 o 6 milioni per il frumento, 4 milioni per l’orzo, 5 milioni per il mais; si esportano anche riso e lenticchie.
La canna da zucchero è sovratutto coltivata nell’alto Egitto e nel Fayum, nei grandi demani principeschi, perchè gli enormi capitali necessari allo stabilimento delle officine, coi loro «obelischi fumanti», sono soltanto a disposizione del sovrano o di potenti compagnie(872). L’albero del cotone ha preso il suo posto nei campi dei fellahini, grazie all’intervento dei Greci, che comprano la fibra e la ripuliscono nelle loro piccole officine villereccie; ma ai lavoranti egiziani non si frammette alcuno straniero: il basso prezzo della mano d’opera impedirà sempre a colonie di agricoltori europei di stabilirsi in Egitto; gli immigranti d’Europa non possono stabilirsi che nelle città. Introdotto in Egitto sotto il regno di Mohammed-Alì, anzitutto per gli sforzi del francese Jumel, l’albero del cotone, prese grado a grado, sotto il nome di mako, una certa importanza nel commercio dell’Egitto.
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