La lingua straniera più comune in Egitto è la francese(885), ma il nuovo governo ha ridotto il bilancio dell’istruzione pubblica, prendendo di mira specialmente i professori francesi, allo scopo di proscrivere, in un tempo più o meno lungo, l’uso della loro lingua nelle scuole civili e militari.
L’Egitto è un paese di dispotismo; secondo la tradizione politica, il popolo non ha altri diritti, eccetto quelli di pagare le imposte e di obbedire; ma, per una singolare bizzarria, cagionata dall’intralciarsi di mille intrighi, gli Egiziani non saprebbero dire quali siano i loro padroni. Basta loro ripetere il vecchio proverbio arabo: «Il popolo è come il grano di sesamo: lo si schiaccia sin che dà olio»(886). Ufficialmente, il capo dell’Egitto è un principe della famiglia di Mohammed-Alì, che porta il titolo di Chedive, superiore a quello di vicerè; sovrano del paese è il sultano di Costantinopoli, in nome del quale le imposte sono prelevate e coniate le monete. Il sultano riceve sempre un tributo di 18 milioni di lire italiane, anche dopo che l’intervento della Gran Bretagna ha fatto scomparire sin l’ombra del suo potere; percepisce inoltre dai 7 agli 8 milioni di lire italiane provenienti dal monopolio accordato al tabacco turco per l’importazione; tuttavia i tre quarti almeno dei tabacchi consumati nel paese sono importati di contrabbando, sovratutto dalla frontiera del deserto. Pur dianzi il dialetto ufficiale era il turco, idioma dei padroni, e non l’arabo, lingua di quasi tutti gli Egiziani.
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