Un’altra volta abbiamo pensato al Capo Bianco, e subito ci siamo ritirati in seguito a qualche parola della Francia. Della Tunisia e dei progetti privati nella Cirenaica, non è necessario parlare, per risparmiarci vergogna. A dir breve, non ci rimase che occupare Assab, e volgere ad essa cure e speranze.
Sarebbe davvero il caso di affermare, che se altri lasciavano perire le colonie, piuttosto che un principio, noi ne abbiamo fondata una piccina, per affermare un principio. Assab, di per sè sola, aveva ben poco valore, men della molta carta che si è consumata a difenderne od impugnarne l’acquisto. Valse come prima manifestazione di un principio, ed era l’ultimo avvertimento della fortuna(891). Chi l’avesse detto ai Romani od agli alveari sciamanti delle nostre repubbliche medioevali, che gli Italiani, dopo aver messa insieme la patria, avrebbero pensato vent’anni a decidere se dovessero, o pur no, mettendosi sull’orme gloriose dei padri, acquistare nel mondo l’influenza che dànno le colonie! Bastò per molto tempo questa sola parola a spaventare l’opinione pubblica ed il Governo, come se avessero dovuto piombarci addosso tutti i danni e le sventure che derivarono ad altri popoli dal sistema che fu chiamato appunto coloniale. Una colonia pareva anzitutto una spesa ed una causa di spese eccessive; ed era cagione di gravi preoccupazioni il modo come si sarebbe presa e difesa, mancandoci denari, arti diplomatiche, armi, naviglio, a dir breve, tutto. «Quando sia aperto il canale di Suez, noi dobbiamo avere, lunghesso la via che conduce alle Indie ed all’estremo Oriente, un punto qualunque, dove ricoverare le navi, provvederle di carbone, e soffermarci, per tutti gli eventi, in casa nostra»(892).
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