Un ultimo contratto dello stesso giorno, firmato non solo come il precedente, da Berehan, ma anche da altri sultani indigeni, trasferiva alla Società italiana la proprietà e la sovranità dell’isola di Sannabor e il litorale tra il capo Dermah ed il capo Lumah, al nord di Assab.
Per vari anni questi possedimenti non subirono alcun notevole aumento. Si fecero vari tentativi, dal Governo e da privati, per richiamare ad essi i traffici dell’interno, ma senza pensare ad occupare altri territori, neppure quando se ne presentava l’occasione, oppure quando erano trucidate le spedizioni italiane. Così giacquero invendicati Giulietti e i compagni di lui; così più tardi il Bianchi, del cui eccidio pervenne notizia in Italia in sul principio del 1885. La pubblica opinione se ne commosse vivamente, e ben presto altre considerazioni si aggiunsero a determinare uno sviluppo della prima colonia italiana.
Al principio del 1885 l’insurrezione del Mahdi si andava allargando; sulla costa orientale d’Africa si risvegliava il fanatismo musulmano; da ogni lato sorgevano pericoli, ai quali non poteva rimanere indifferente una potenza che, come l’Italia, possedeva una colonia sul mar Rosso. D’altra parte, il Chedive aveva dichiarato al sultano che si trovava nella necessità di abbandonare Massaua, come aveva abbandonato altri punti più meridionali; e dal canto suo il sultano, malgrado siffatta dichiarazione, punto non accennava a volersi incaricare dell’occupazione. Uno dei principali porti del mar Rosso, se non il primo, lo sbocco naturale dell’Abissinia e di gran parte del Sudan orientale, correva quindi pericolo d’essere abbandonato all’anarchia ed alle crescenti invasioni degli Abissini, o d’essere occupato da una terza potenza che si sarebbe così assicurata una posizione predominante nel mar Rosso.
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