Se è legge storica che l’Africa, come una cittadella assediata dalla civiltà, coi suoi duecento milioni d’abitanti divisi in infiniti gruppi senza reciproca unità, ignoti gli uni agli altri, sia fatalmente condannata ad aprire le sue porte agli Europei, si comprende come gli Stati d’Europa abbiano fatto a gara per possedere qualche tratto del litorale africano. In un momento in cui l’Europa pareva assalita da una febbre coloniale, il Governo italiano, che aveva già un piede sulla costa del mar Rosso, posto nel bivio di andare a Massaua o di vedervi andare altri, preferì andarvi egli stesso.
Lo sbarco e l’occupazione si compirono pacificamente il 5 febbraio 1885. Un corpo di spedizione era partito da Napoli il 27 gennaio, parte sulla corazzata «Principe Amedeo», parte su di piroscafo noleggiato, il «Gottardo», sul quale trasbordarono poi, giunti a Porto Said, anche i soldati, marinai e materiali imbarcati sull’«Amedeo», che non avrebbe potuto traversare il canale di Suez. Questo corpo d’occupazione era costituito, oltre ad un piccolo stato maggiore, di quattro compagnie di bersaglieri, di una sezione di artiglieria da fortezza, di un plotone del genio e di alcuni drappelli di carabinieri, di sanità e di sussistenza; in totale 806 uomini. Il «Gottardo» arrivò a Massaua la mattina del 5 febbraio. Il contrammiraglio Caimi, comandante le nostre forze navali nel mar Rosso, che si trovava a bordo dello stesso piroscafo, sceso a terra e recatosi dal vice-governatore egiziano, Izzet bey, gli significò per iscritto che dal Governo del Re aveva l’ordine di occupare la piazza di Massaua e dintorni; un corpo d’occupazione era pronto a sbarcare.
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