Chi, arrivando per la prima volta nell’ampia insenatura che forma il porto di Massaua, si faccia a guardare dalla parte di terra, resta colpito dallo spettacolo che gli si para innanzi, e che contrasta con l’idea di desolazione e d’abbandono generalmente associata, in Italia, all’idea di quel nostro possedimento. A sinistra, più indietro, il solitario isolotto di Sceic Said (così chiamato da un santone musulmano ivi sepolto), contornato da una vegetazione arborea a metà sommersa durante l’alta marea. Più vicino si stende, per tutta la sua lunghezza, l’isolotto di Massaua, col forte di ras Mudur alla punta estrema nord-est, meschina ma pittoresca opera di difesa che domina il porto; quindi, dopo uno spazio libero, l’antico cimitero arabo ed alcune capanne, la fila delle case e dei pubblici edifici, costruzioni in muratura di varia forma e grandezza, alcune delle quali non prive di una certa eleganza orientale, con terrazze e verande che dànno sul mare: la dogana, la posta, la capitaneria di porto; il tutto dominato dagli svelti minareti delle moschee. Sulla diga che va dall’isolotto di Massaua a Taulud, è un passaggio continuo e variopinto di uomini e di cammelli, dove agli indigeni d’un’infinità di razze e di foggie si mescolano i nostri soldati dal bianco uniforme. In faccia, ed all’estremità nord dell’isola di Taulud, s’eleva il palazzo del comando superiore, già residenza del governatore egiziano, bizzarra costruzione di stile moresco, dovuta non a Münziger pascià, come si dice comunemente, ma ad Arachel bey.
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