Udimmo, fra i veri, racconti fantastici di cavalli piccoli, veloci, di color verde, così da nascondersi fra l’erba, di miniere d’oro e d’argento, di grossi e feroci scimmie, di mostricciattoli umani. Ma più ci sedussero l’invito del re e gli eccitamenti di monsignor Massaja, dei minori cappuccini, vicario apostolico inter populos gallas, che da vent’anni presiedeva alle missioni, cui promettevano buon successo le docili popolazioni, tra le quali il paganesimo ed il Corano, premendo da due parti, non erano riusciti a spegnere il culto del nume semitico, ed erano rimasti famigliari, per lungo ordine di tradizioni, i ricordi dei poetici e fecondi amori tra la regina Saba e il re Salomone.
La Società geografica di Roma pensò subito una spedizione nello Scioa, della quale era designato il capo, il marchese Orazio Antinori, allora segretario della Società stessa. In Tunisia, sul fiume delle Gazzelle, nel paese dei Dembellas, dove era penetrato il primo, tra i Bogos, aveva compiuto viaggi di molto valore geografico. Rotto alle audaci imprese, alla travagliata vita africana, con una salute di ferro, modesto come una fanciulla e fiero come un leone, egli era l’uomo indicato per quell’impresa. Non mancarono dubbi e contrasti, perchè agli uni lo Scioa pareva troppo piccola meta, agli altri stazione non adatta per muovere ai grandi laghi e alle montagne torreggianti presso l’equatore. Pur vinse il primo disegno, e dopo studi diligenti, dopo lunghi apparecchi, raccolte somme che parvero sufficienti, la spedizione partì dall’Italia l’8 marzo 1876, avendo a capo l’Antinori e con lui Giovanni Chiarini, valentissimo ingegnere e naturalista di Chieti, e Sebastiano Martini- Bernardi, che alla spedizione aveva contribuito del suo, scelti tra i moltissimi, che avrebbero voluto partire ad ogni costo.
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