Gli italiani e gli amici sopraggiunti ebbero nello Scioa buone accoglienze e la libertà di visitare e studiare il paese compatibilmente colle sue condizioni politiche, giammai troppo sicure. Il re concesse alla missione un terreno, a Let Mareflà, con prato, campo e bosco, per istabilirvi una colonia come quella che Antinori, col padre Stella, aveva fondata a Sciotel. Let Mareflà giace al piede dei monti di Fecheriè Ghemb, divisa da Mahal Uong per un fiumicello, che, disceso da essi, volge a Farrè. Ivi dovettero mettere alla più dura prova la loro pazienza, e Antinori ebbe anche la sventura di ferirsi così malamente, da rimanere per parecchi mesi impotente all’azione. Pur si diedero a studiare, Chiarini la geologia del paese, Antinori la storia naturale, Cecchi gli itinerari, sempre a prezzo di opposizioni locali, di impedimenti d’ogni maniera, e di stenti e sacrifici personali assai gravi. Alla perfine vinte le ritrosie e le paure del re Menilek, persuaso Antinori al sacrificio di rimanere a presidio di quella prima stazione, distrecciata la confusione d’ordini e contrordini che veniva loro da Roma, Cecchi e Chiarini, nel luglio del 1878, si avviarono per alla volta del Caffa. Ben prevedevano le difficoltà. «Da Scioa a Caffa – come allora scriveva il Massaja – si trovano cinque piccoli regni da attraversare, tutti abbastanza organizzati, con una diplomazia sui generis, piena di pregiudizi contro le invasioni straniere, e tanto forti quanto basta per impedire il passaggio ai nostri viaggiatori». E notava la difficoltà, già grande, di riuscire sino al Caffa, massima poi di proceder oltre, in mezzo a tribù nere, affatto sconosciute, tra le quali non si poteva penetrare che a prezzo di mezzi, di pazienza e di sacrifici davvero straordinari.
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