A mezzo l’ottobre di quell’anno, Cecchi perveniva ad Imbabò, dove incontravasi col conte Antonelli, venuto tardi con nuovi aiuti. Si inoltrarono a Dembeccià, nel Goggiam, e uniti al Bianchi esplorarono i monti Ciokè, il confluente del Birr coll’Abai, ed altri tratti di quella regione. In sul principio del 1881 erano a Samerà, alla presenza del Negus dei Negus, e dopo altri due mesi di indugi rividero lo Scioa. Ivi ebbero l’agio di compiere altre esplorazioni assai utili alla scienza, ed allo stesso modo visitarono l’Harrar. Per questa via, oggi tanto malagevole da doversi reputare mortale, il 13 dicembre 1881 Antonio Cecchi perveniva a Zeila dove s’imbarcò per l’Italia.
Se furono piuttosto scarsi i risultati diretti, una notevole conseguenza indiretta è derivata da queste prime spedizioni italiane, avendo esse destato un grande interesse per lo Scioa, l’Abissinia e le regioni vicine. Sorsero altre Società di esplorazione a Milano ed a Napoli; venne tolto dall’oblio in cui era lasciato il nostro stabilimento di Assab, e si diressero all’Africa orientale numerosi viaggiatori italiani e stranieri. Antinori, continuando le sue esplorazioni, scoprì il lago di Cialalaka e l’incantevole lago di Haddò, un antico cratere profondo, le cui acque sono tutte ricoperte di fenicotteri, oltre ad altri minori, notò pure alcune altitudini: Farrè 1367 metri, Sciotalit 2350, Let Maredà 2452, Fecheriè Ghem, eremo, 3120, Ancober 3005. Poco dopo potè compiere una spedizione tra gli Ada Galla, nella quale colse i germi della malattia, che unita ai disagi e all’età, lo trasse a morte, nel 1882.
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