Dove ciò avviene, lo Stato forma come una staccionata, essendo circondato da ampi e profondi fossati, muniti di angusti ponticelli, e di palizzate formate di grossi tronchi d’albero, tranne in quelle località dove la natura del suolo costituisce di per sè una barriera insormontabile all’uomo. A capo delle strade consuete vi sono due o più porte, generalmente custodite da uomini d’armi, dalle quali non si può uscire nè entrare senza il permesso del re. Fra Stato e Stato si estende un paese deserto, che appartiene a nessuno, ed è infestato di predoni molto temuti dai viaggiatori. I re non li molestano affatto, chè anzi giovano a tener lontani i visitatori importuni, e ad assicurare quell’isolamento che pare la maggior aspirazione di queste genti. Di alcuni tra questi Stati, dopo il viaggio di Cecchi e Chiarini, non solo si poterono scrivere a loro posto i nomi sulle carte, ma anche avere particolareggiate notizie. Sono ora caduti tutti sotto il dominio di Menilek e perciò la conoscenza loro ha altresì un grande interesse di attualità.
Meno sconosciuto, almeno di nome, e sugli altri sovrastante con titolo d’impero, è il Caffa. Il fiume Gogeb lo divide, verso ponente, dai regni di Ghèra e di Gimma; da un lato è il regno di Cullo, dall’altro le tribù negre degli Sciancallà e i Ghimirrà, un misto di negri e di Sidama, che pagano tributo di molti schiavi, come tributari sono i regni di Contà e di Cuiscia a mezzodì. L’imperatore, d’una famiglia chiamata Mingiò, ha limitata autorità, perchè sei supremi consiglieri ereditari lo invigilano come i baroni della Gran Carta d’Inghilterra.
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