E si dice con qualche fondamento, anche a giudizio del padre Massaja, che la dinastia regnante, e quel crudele ed astuto Abba Gomucóli, che tante persecuzioni usò alla spedizione italiana, discenda da quei bianchi. Il regno ha per confini a nord i torrenti Ulmai ed Alaltù, ad est il paese deserto (moggà) che lo divide dagli Agalò e dai Ciorà, ad ovest il fiume Diddesa, e il suo confluente Anetù, al sud le montagne che lo dividono dal regno di Gimma Abbagifar. Misura una superficie di 2,933 chilometri quadrati, e forma un altipiano molto ondulato, ad una media altezza di 1762 metri dal livello del mare. È diviso quasi in due regioni dai monti che alimentano il Ghibrè da un lato, il Diddesa dall’altro. Superbi boschetti di mimose, di sicomori, di podocarpi, di cipressi, di limoni, di caffè, formano col loro ricco fogliame graziosi pergolati, che imbalsamano l’aria dei loro profumi, e col folto della verzura nascondono qua e là, all’occhio del viaggiatore, le ondulazioni del suolo. Il clima non è dei più sani, causa la bassa giacitura del paese, le valli profonde, le adiacenti savane e i fiumi che largamente dilavano durante e dopo le pioggie, lasciando pestilenziali miasmi, generatori di febbri e di dissenterie mortali.
Saca è il centro più abitato, dove più numerose capanne si aggruppano sulla sommità e sui pendii del colle su cui sorge il maserà o recinto reale. Il paese è molto ben coltivato, e il suolo si lavora come in tutta l’Abissinia. Gli abitanti cacciano qualche antilope, ritenendo generalmente la selvaggina per impura, il bufalo per fare scudi colla pelle e bicchieri colle corna, l’elefante per le sue zanne, il leopardo e il leone, le cui pelli sono dono gradito al re.
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