In mezzo alla crescente barbarie, tra il frastuono della vita disordinata e battagliera, nei silenzi dello spirito ottenebrato dall'ignoranza, la voce dell'antica città suona insistente come un richiamo, come un segno di riconoscimento. Roma è il simbolo dell'universale cittadinanza, la patria comune in cui tutti si riconoscono. Gli influssi che essa tacitamente diffonde formano come una speciale atmosfera morale che alimenta la poesia e la leggenda. Per tutto il medio evo Roma non è solo il passato, ma il presente e l'avvenire; in essa, dice fra Guido, "Iddio pose tutta la potenzia umana spirituale e temporale, cioè lo papato e lo impero".(3)
Ma se i papi, trovandosi a capo del governo delle anime, risiedevano sempre a Roma, per tutto il medio evo e fino al principio di questo secolo, i veri padroni del "sacro romano impero" risiedettero al di là delle Alpi. Essi scendevano in Italia soltanto a cercare la consacrazione della loro potenza, ma la potenza stessa derivavano da altre sorgenti. Invano i popoli abituati all'obbedienza volevano mantenere il prestigio di quella Roma che per tanto tempo li aveva dominati; il tentativo stesso era una vana illusione. Non soltanto il perno del mondo civile, ma quello ancora della stessa Italia avea mutato posto; le grandi iniziative partivano ormai da Pavia, da Firenze, da Genova, da Pisa, da Milano, da Venezia, da Bologna, più tardi anche da Torino. Se Roma, sebbene decaduta per la forza degli avvenimenti, ha ripreso oggi una certa importanza ed è ridivenuta una capitale, si fu perchè l'Italia volle rivendicarne a qualunque costo il territorio, e non solo per un diritto che nessuna gente e nessun argomento può mettere in dubbio, e per un alto sentimento politico, ma per una tradizione classica e per una superstizione archeologica, che fecero del nome di Roma il simbolo della nostra futura potenza.
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