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      All'unità d'Italia, del pari che al suo sviluppo economico, nocquero specialmente le difficoltà e la lentezza con cui siamo riusciti a conoscere il nostro paese. Ancora nel 1857 Cesare Correnti scriveva, che "si parla tanto d'Italia, ma un libro che tutta la ritragga quale essa è, e quale va facendosi, non l'abbiamo ancora". Gli omerici conoscevano appena la Sicilia, ed anche all'orecchio di Erodoto le Alpi, l'Eridano ed altri nomi erano venuti come finzioni poetiche. Le prime notizie dei porti italici, dalle foci del Rodano a quelle del Po, si hanno dal periplo attribuito a Scilace, ai tempi di Filippo il Macedone, ma certo dovevano esser noti ai Tirreni, navigatori audaci e fortunati. Polibio è il primo che coglie l'unità del nostro paese, fra le Alpi, "rocca di tutta Italia", e i mari Jonio e Siculo, Adriatico e Tirreno, ne dà alcune misure approssimative, e lascia persino supporre l'esistenza di qualche schizzo cartografico. Una descrizione più completa ci dà Strabone, tale che Carlo Ritter poteva scrivere, che "ancora nessun geografo moderno, nella sua descrizione d'Italia, ha raggiunto la grandiosa immagine che egli offre della penisola". Con questi massimi concorsero a descrivere uno o più luoghi del nostro paese ed a darne nomenclature più o meno diffuse Pomponio Mela, Plinio, Orazio, Virgilio e gli altri poeti e scrittori di Roma. Ma più di tutto giovarono a farlo conoscere, come tanti altri d'Europa, le strade meravigliose che vi condussero i Romani, le "descrizioni di tutto l'universo" raccolte dagli agrimensori loro, gli itinerarii marittimi, militari, civili, sebbene basti uno sguardo alla Tavola Peutingeriana per vedere con quale ingenuità e con quante mostruosità geografiche veniva raffigurato il nostro stesso paese.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume V - Parte seconda - L'Italia
di Elisée Reclus
Società Editrice Libraria Milano
1902 pagine 794

   





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