Il Biondo da Forlì nel 1445 pubblicava il primo saggio di una geografia storica comparata, dove la descrizione dei luoghi dell'età sua è messa a riscontro con quella dell'antichità e del medio evo, mentre gli eruditi si affaticavano intorno alle tavole di Tolomeo, e i governi più avveduti, come quello di Venezia, facevano disegnare le prime corografie esatte e complete dei loro territorii. Nel secolo decimosesto i governi commettono altri rilievi, le carte geografiche diventano ornamento dei più sontuosi edifici pubblici e privati, e si pubblicano tra noi, presto superati dall'Olanda, i primi atlanti; alla fine di esso Antonio Magini affronta la costruzione di un grande atlante d'Italia in 60 tavole, che per due secoli venne largamente sfruttato da italiani e stranieri.
L'esplorazione del nostro paese, specie sotto i varii aspetti delle scienze geografiche ed affini, non procedeva però molto rapidamente. I Romani avevano avuto poco men che paura delle Alpi, alle quali anche Plinio assegnava le altezze più inverosimili, e poco le conobbero anche Dante e Petrarca, che pur si vantano oggi precursori del moderno alpinismo. Leonardo da Vinci le percorse e studiò forse per il primo, ma appena un secolo dopo la sua morte si ebbe la prima esatta misura altimetrica, che fu del monte Baldo, quando ancora non si era cessato dal reputare i fossili, come li aveva chiamati il Cardano, scherzi di natura. Nè sino ai grandi rilievi topografici degli stati maggiori moderni si ebbero indicazioni precise, se, per esempio, la Dufour Spitze del Monte Rosa (4635 m.) variò da 4597 a 4736 metri, il Terglu (2864 m.) da 2856 a 3404, il Gran Sasso (2921 m.) da 2898 a 3111, ed all'Etna (3313 m.) si assegnarono sino a 6496 metri.
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