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E, come tutto sull'Alpi, anche questi fiori hanno leggende tristi o liete, sacre o profane. L'alpigiano, se nella notte di San Giovanni raccoglie le verbene, che cingevano una volta le bionde teste delle druidiche Norme, inspira amore alla fanciulla cui tocca la mano; il rododendro che sfida colle radici saldissime le più fiere tormente, e, cessato il turbinare della neve, ha colore più smagliante, mentre appassisce e scolora nella mano di chi lo coglie, è il simbolo dell'amore, e fu sacro alle possenti e terribili deità boreali; i piccoli garofani, che abbondano specialmente nei cimiteri alpini, germogliano sul cuore dei morti; la primola auricola, cara alle fanciulle, cresce, per opera diabolica, fra le rupi più impervie, per mettere a duro cimento l'amore dei pastori. Le leggende sono per lo più tristi, forse perchè l'anima umana è più avvezza al dolore che alla gioia. In val di Susa il pastore che vuol raccogliere in certe notti una felce deve lottare coi demoni, ma se li vince, ne trae la virtù di rendersi invisibile; su alcuni laghi crescono ninfee, che sono anime di fate, di ninfe bellissime e perverse, che guai a chi le coglie. Al colle di Valdobbia, la notte di Natale soleva apparire una vergine bianca, con le mani cariche di grano, come per dire che anche il triste inverno dovrà pur finire.(40)
Queste leggende sono naturalmente più numerose nella zona inferiore, quella dei pascoli e dei boschi. Il culto degli alberi è uno dei più antichi, e la memoria di esso durò più a lungo sulle Alpi, dove stendevansi immense foreste.
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