Perciò in tempo di piena la navigazione sul Po non era permessa durante la notte se non a certe barche privilegiate: le guardie del fiume facevano fuoco su tutte le altre.
Da monte a valle, il letto di piena abbandonato alle acque del fiume va man mano restringendosi; da sei chilometri diminuisce fino a tre, due e persino ad un chilometro: finalmente ognuno dei bracci del delta da un argine all'altro ha la larghezza di 300 a 500 metri. Tale spazio non è sufficiente al passaggio dell'acqua di piena che si eleva talvolta ad otto o nove metri ed anche a nove e mezzo sopra il livello di magra. D'altronde è spesse volte accaduto che per mancanza di mezzi, o per noncuranza, i comuni rivieraschi non abbiano usato le precauzioni necessarie per la manutenzione degli argini; talvolta interi distretti si trovarono rovinati perchè non si era pensato a tappare i fori delle talpe. Quando si manifesta una fessura e non si riesce a chiuderla immediatamente, ne risultano terribili disgrazie. Non soltanto sono perduti i raccolti, demoliti i villaggi, devastati i terreni, ma gli abitanti rifugiati qua e là sono decimati dalla carestia; e il tifo miete le sue vittime dopo la fame. I terremoti di Calabria e gli staripamenti del Po sono i grandi flagelli d'Italia.
Nel 1872 tutto lo spazio che si estende fra la Secchia e l'Adriatico, da Mirandola a Comacchio, venne trasformato in un mare sul quale vedevansi qua e là mura e palazzi di città simili ad isole. Il tratto di continente riconquistato temporaneamente dalle acque non misurava meno di 3000 chilometri quadrati, limitato al nord soltanto dagli argini dell'Adige, al sud da quelli del Reno.
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