Così, sulle rive del Po, si trova ancora qualche pianta che ricorda la flora delle saline, ma va ogni dì più scomparendo con le paludi.
Noi sappiamo come l'agricoltura insubrica, avvalorata dai lumi della scienza, dalla solerzia delle arti, dalle ricchezze degli antichi commerci, vinte le acque, si spinse sulle alpestri balze trasformandole in giardini pensili con cinese perseveranza, tramutando, talvolta con soverchio ardore, in vigneti le selve tutelari. Quindi un profondo e vasto mutamento, maggiore che in qualsiasi altra parte d'Italia, si operò nella naturale distribuzione delle piante per cui il Link diceva: "La pianura lombarda è un giardino, dove a mala pena si trova una pianta selvaggia, tale almeno che valga a dar carattere alla sua flora". Dove in tempi non remoti si estendevano ampi boschi di roveri e di olmi, come nel celebre bosco della Merlata, presso Milano, o si addensavano vaste pinete, restano oggi appena poche reliquie sfuggite all'incuria o all'avidità dei signori, alle depredazioni dei poveri, alla voracità degli scarabei e delle falene. Quindi molte erbe native furono estirpate insieme alle selve, mentre colle nuove coltivazioni furono introdotte e si diffusero le ciperacee, le suffrenie ed altre piante che indarno si cercherebbero fuori delle risaie. Che se v'è ancora qualche vegetazione selvaggia nelle brughiere del Milanese, nelle sassaie del Bresciano, nelle lame uliginose e traballanti, assiduamente attraversate dagli uomini e dal bestiame, non possono paragonarsi per vastità e per selvatichezza agli scopeti dell'estrema Germania, alle paludi saline dell'Ungheria od alle lande della Francia.
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