Fra le discordie galliche, i Romani si aprirono il varco del Po; il console Marcello, d'accordo coi Cenomani, irruppe nelle valli lombarde, trionfò a Mediolano del brenno Virdumaro e pose due colonie, a Piacenza e a Cremona. Dopo le guerre puniche, fra la dispersione dei Senoni e dei Boi, sopravvisse la stirpe degli Insubri; ma solo in sul principio dell'era volgare vinti gli Stoni, domati i Camuni, venduti all'asta i Templini, cessate le invasioni dei Cimbri e dei Tentoni, la via dei laghi e delle Alpi era aperta alle legioni di Roma. Allora l'Insubria, che nell'era etrusca era la favolosa frontiera del mondo civile, si trovò sulla gran via delle genti, ed i Romani diedero ai municipi autorità sulle campagne, sicchè Strabone poteva scrivere, che "per la frequenza degli abitatori e per l'ampiezza e l'opulenza delle città, i Romani di quelle parti sovrastano a tutti gli Italiani". Allora la Cisalpina ebbe leggi, famiglie, municipi, strade, ponti, argini, templi magnifici, mille delizie di arti e di fontane, teatri, grandi scuole e campagne coltivate, dove sino allora avevano errato nelle paludi feroci cinghiali.
A queste popolazioni altre si sovrapposero coll'invasione dei barbari e furono le ultime che contribuirono alla formazione delle genti moderne. Ma allora la Lombardia, come altre regioni d'Italia, era ridotta quasi ad un deserto; poche città sorgevano solitarie sui monti e fra le paludi, mentre i barbari erravano sulle rovine, pascendosi di carni crude sotto i portici di marmo e trucidando quanti non si erano salvati nelle cerchie murate.
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