Di là Rotari proclamò l'Editto, Liutprando tentò di riunire l'Italia, Desiderio ne vide con la calata dei Franchi la peggiore rovina. Un'altra volta, il 25 febbraio 1002, vi fu proclamato un altro re d'Italia, Arduino d'Ivrea, ma il regno d'Italia era una parvenza che andava poco oltre le mura, e fu solo cagione che Pavia, sebbene libero comune, parteggiasse per gli Imperiali, e i suoi cittadini rimanessero fedeli al primo e al secondo Federico, e cadessero a Tagliacozzo per Corradino. La sua autonomia cessò nel 1359, quando i Visconti l'ebbero vinta ed annessa al Ducato di Milano, di cui seguì quind'innanzi la storia cogliendovi altri allori: durante il Regno italico, la fioritura impareggiabile della sua università, più tardi l'eroismo dei suoi figliuoli in tutte le guerre per la indipendenza, primi quei fratelli Cairoli, ai quali la città innalzò un monumento.
Pavia serba, nelle sue vie parallele o perpendicolari al Ticino, il ricordo dell'antico campo romano, come nei suoi monumenti quello del Regno longobardo. Il Muto dall'accia al collo, informe statua romana, è da secoli bersaglio d'insulti e di motteggi; delle cento torri, alcune delle quali celebri, come quella di Boezio od architettonicamente bizzarre, come la Torre dal pizzo in giù, restano appena sei, anch'esse minacciate dai moderni edili. Ma rimane la basilica di San Michele maggiore, una delle più insigni chiese monumentali d'Italia, ampliata ed arricchita dai Longobardi, che eressero la chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro, dove nel 1900 si trasferirono le reliquie di Sant'Agostino, accanto alle tombe di Boezio e di Luchino dal Verme.
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