Sull'orizzonte, lunghesso la Riva degli Schiavoni, si scorgono alberi di navi, cupole di chiese, canali che s'addentrano fra le case, il bellissimo monumento a Vittorio Emanuele, e nel fondo gli alberi del pubblico giardino. Ma le meraviglie lontane non distolgono lo sguardo attonito da quella che s'erge d'appresso, il Palazzo ducale, una fila di robuste colonne, che ne sorregge una seconda leggera, un merletto di volte, di ornamenti, di colonnine, sopra il quale s'eleva un muro massiccio di marmi bianchi e rossi coronato da una cornice di piramidi, di guglie, di festoni, che fanno pensare ai più strani fiori dei tropici, dominata dalle punte aguzze delle foglie lanceolate.
Al di dentro, gli occhi sono abbagliati, appena dalle due cisterne si alzano a contemplare le quattro facciate, brillanti di tutta la giovinezza del Rinascimento. E un popolo di rilievi, di figure ornate, di colonnine, d'arabeschi, di statue, colossi pagani e figure bibliche, le forme reali e gracilette degli scultori del secolo XV, e quelle agitate e muscolose uscite dagli scalpelli dei contemporanei di Michelangelo. I marmi preziosi delle scale, gli stucchi delicati, i capricci eleganti degli svariati loro arabeschi, le armature ed i geroglifici, i grifi e i fauni, i fiori fantastici e le caprette maliziose, tutta una profusione di piante poetiche e di animali saltellanti, sono le opere più meravigliose del Rizzo e del Sansovino. Chi sale la scala magnifica nel volgare abito nero dei moderni, pensa malinconicamente come dovevano esservi meglio a loro posto le zimarre di broccato di seta, le pompose dalmatiche, le tiare ed i costumi bizantini, e tutte le signorili magnificenze per le quali erano fatti quei marmi.
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