Per isfuggire all'influenza perniciosa della malaria, è necessario abitare costantemente almeno a 300 metri d'altezza e spesso non basta: la città vescovile di Sovana è assai malsana sebbene si trovi precisamente a quest'altezza nell'alta vallata della Fiora. Le febbri si palesano talvolta anche nelle regioni lontane da qualsiasi palude; la causa, secondo il Salvagnoli-Marchetti, si deve attribuire alla natura del terreno.
La malaria sale sulle colline il cui suolo argilloso è impregnato di sostanze empireumatiche; essa infetta anche le contrade dove pullulano abbondanti le sorgenti saline e più ancora quelle dove trovansi giacimenti d'allume. Il mescolarsi dell'acqua dolce colla salsa, così funesto sulle rive del mare, non lo è meno nell'interno del paese. Finalmente è funesta l'influenza dei venti del sud, specialmente dello scirocco, e le febbri rimontano molto avanti in tutte le valli esposte a queste correnti avvelenate. Le terre che godono dell'aria libera del mare sono perfettamente salubri: così Orbetello e Piombino, sebbene si trovino nelle vicinanze di estese paludi, nulla hanno a temere dai miasmi palustri.
Si ammette in generale, che le coste dell'Etruria non fossero infette dalla malaria quando vi fiorivano le antiche città tirrene. Infatti i lavori ferroviari compiuti nelle Maremme hanno rivelato l'esistenza d'un gran numero di condotti sotterranei che solcavano il suolo in tutti i sensi; la campagna era tutta forata da canali di scolo. Indubbiamente non avrebbero potuto sorgere e svilupparsi le grandi città delle quali si vedono ancora ai dì nostri le rovine, ovvero si ricercano le antiche aree, come la celebre Populonia mater, se il clima locale avesse avuta la terribile insalubrità che oggi si lamenta.
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