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Firenze possiede pur sempre importanti sorgenti di reddito nelle proprie industrie. Essa ha setifici e lanifici, fabbriche di cappelli di paglia, di mosaici, di porcellane, di pietre dure e d'altri oggetti che richiedono specialmente abilità e buon gusto. Ma tutta cotesta produzione artistica ed industriale, congiunta ai prodotti agricoli della pianura e al movimento commerciale recato dalle strade e dalle ferrovie che vi fanno capo, non basterebbero alla sua fortuna e alla sua gloria, se non avesse i ricordi e i monumenti più insigni dell'arte, per cui essa è attrattiva insuperata di tutti i cultori del bello, sempre più frequentata da un gran numero di forestieri, che la salutano la bella fra le belle. G. Forsyth lasciò scritto, è vero, che non capiva "come si potesse vivere a Firenze d'inverno e morirvi la state"; infatti la situazione della città, a 55 metri sul livello del mare, dentro una conca coronata dai monti, la espone nel verno ai venti gelati che passano sulle nevi, e l'estate vi condensa il calore. Prima della sua trasformazione edilizia, anche la ristrettezza delle strade e la poca osservanza dei precetti igienici avevano contribuito a crescervi la mortalità. Nel medio-evo Firenze fu più spesso e fieramente desolata dalla peste, e quando messer Giovanni Boccaccio cercava di combattere il morbo con le sue spiritose novelle, vi perirono centomila abitanti. Anche a' dì nostri i Fiorentini non hanno il robusto aspetto dei Livornesi e dei Senesi, e Targioni Tozzetti ha potuto deplorare che nel 1260 non si avesse dato seguito al progetto di distruggere Firenze e portarne gli abitanti nelle saluberrime e aperte campagne di Empoli.
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