Avvisati dell'arrivo d'una carovana nelle oasi meridionali, i compratori mandano agli intermediarii l'ordine di negoziare al miglior prezzo, e così a quegli infelici non viene mai a mancare un padrone. Però uomini e donne possono, almeno nella capitale, richiedere a loro piacimento una lettera di affrancamento che non è mai rifiutata. Di questi affrancati, gran parte rimane presso gli antichi padroni e quella che se ne va in assoluta indipendenza, li considera sempre come patroni e protettori, e durante le feste torna a godere con loro.
La massima parte della popolazione negra non abita Tripoli, nè le altre città, ma, fedeli all'istinto della loro razza, si ritrassero in piccoli villaggi composti di capanne di rami d'albero, di palme, di canne, come quelli a cui non convenivano le pulite case de' Turchi, nè le tende dell'Arabo nomade. Essi vivono come i loro fratelli delle rive del Niger o del lago Tzâde. I più, sebbene comprendano l'arabo, parlano ancora il dialetto de' loro maggiori. Tutte le contrade dell'Africa centrale, dal paese dei Niam-Niam a quello dei Sulah, sono rappresentate nella Tripolitania dalle corrispondenti lor lingue, ma quella usata dalla maggioranza dei negri, che sono circa i due terzi, è la lingua «sudanica» degli abitanti di Haussa. In molti quartieri, il viaggiatore può credere che esso sia l'idioma del paese, tanto gli Arabi eccedono nel loro incessante cicaleccio. Non è però probabile che il dialetto di Haussa duri nella Tripolitania molte generazioni, perchè, per quanto pura sia la vita di famiglia de' Negri di Tripoli, per quanto tenera l'affezione per i figli, è raro che le donne degli immigranti siano feconde, e le cause di morte sono numerosissime per i neonati.
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