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      Alcune colonne giacciono ancora al suolo, ma la maggior parte di quelle scoperte fra le rovine fu trasportata in Inghilterra o in Francia: nella chiesa di Saint-Germain di Parigi, se ne trovano parecchie. Negli scavi di Leptis furono trovati bellissimi cammei ed una iscrizione in tre lingue, punica, greca e latina, che attesta la gran moltitudine di stranieri in quella città africana(122). Sulla riva orientale del corso d'acqua si stendeva pure un quartiere di Leptis e sulla bassa punta che orlava la foce sorge un forte più volte ricostruito donde l'osservatore vede sotto di sè distendersi le rovine e di là di esse i boschetti di palme, gli uliveti, l'anfiteatro delle colline di Mesellata, munite di fortificazioni vicino al mare. L'intera città occupava uno spazio cinque volte quello tenuto dall'odierna Tripoli(123). Il porto di Leptis è quasi completamente interrato, tuttavia, nella buona stagione, alcuni bastimenti, quasi tutti inglesi, di piccolo tonnellaggio vi si recano per il trasporto dell'alfa raccolta nelle steppe vicine(124). Secondo gli indigeni, la coltivazione degli ulivi sarebbe stata introdotta dagli Egiziani: un uliveto di Mesellata, con tronchi enormi, si chiama il «Bosco di Faraone»(125). Una strada carrozzabile, che congiunge Tripoli col distretto di Mesellata, corre in alcuni luoghi a lato d'un'antica via, riconoscibile dai solchi impressi nella dura roccia dai carri dei Cartaginesi, dei Greci e dei Romani. Tagiurah è il maggiore dei villaggi che si trovano sulla strada ed è abitato da uomini industriosi: ciascuno è agricoltore, tessitore, tintore ad un tempo.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
olume 11 - l'Africa settentrionale - parte II
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1890 pagine 1046

   





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