Il rito malechita, al quale appartenevano, è a poco a poco sostituito dalle pratiche anefite, che sono professate dalla grande maggioranza dei musulmani mongrebini. Nondimeno l'eresia religiosa ha nelle città della Tunisia numerosi discepoli. I Beni-Mzab, che emigrano regolarmente a Tunisi come commercianti di carbone e riscaldatori di bagni, sono tutti Kharegiti o «dissidenti»; si chiamano pure Khamsiya, o «Genti della Quinta», cioè che non si trovano nel grembo di nessuna delle quattro sêtte ortodosse. I Gieraba sono pure della «Quinta» e di confessione ibadita, come i Beni-Mzab ed i Berberi del Giebel-Nefusa, dei quali hanno tutte le pratiche, portano la ceccia, la gandura di lana adorna come un tappeto di sfarzosi colori, considerano il gatto animale impuro e schifano il camaleonte. Le prescrizioni del culto ordinano di cavarsi i calzoni prima di inginocchiarsi a pregare(292). Le confraternite religiose in Tunisia sono rappresentate specialmente dai Tigianiya, dai Madaniya, dagli Aissaua, ed in molte tribù vivono famiglie venerate, composte di Ciorfa, o «figli del Profeta». C'è in generale maggior fanatismo nelle città che nelle campagne, più negli abitatori stabili che ne' nomadi. Ne è cagione, dice il Pellissier, il genere d'istruzione che prevalse tra musulmani: «Sono i più istruiti, i maggiormente abbrutiti». Del resto, si sono mantenute alcune pratiche anteriori all'Islam. Quei delle tribù sospendono ancora fiocchi di lana a certi alberi indicati dalla tradizione; paventano molto il mal'occhio e proteggono le loro case con l'impronta delle cinque dita, il numero cinque – simbolo del pesce – essendo considerato favorevole.