In questa sono i depositi dei mercatanti ebrei ed europei con le cisterne d'olio che viene spedito a Marsiglia per far saponi(322). A milioni si contano nel sahel di Susa gli ulivi, e le piantagioni potrebbero ancora essere allargate, sebbene in certi luoghi si lascino le sabbie distendersi sul terreno coltivato. Fino a poco tempo fa, i fusti d'olio che i mercatanti di Susa volevano caricare sulle navi in rada, erano messi a galla e rimorchiati da lunghe file di chiatte. Come queste erano di ritorno, i barili erano gittati in acqua e dalla marea spinti a riva, dove venivano raccolti dai padroni. Ora una piccola gittata serve di sbarco ai viaggiatori e le merci sono condotte a terra da chiatte o da barche. Scialuppe siciliane pescano le sardine ne' paraggi di Susa, dove non ve n'ha meno che in quelli di Mahdiya: la presa viene poi spedita in Grecia e in Dalmazia(323). Italiani e Maltesi, che vi sono numerosissimi, costituivano poco tempo fa quasi tutta la popolazione europea di Susa. Però la maggioranza dei non-musulmani è composta di ebrei, i quali erano circa duemila e quasi tutto il commercio interno era nelle loro mani. Centinaia di negri, figli di gente già schiava, fanno i muratori, i terrazzai, gl'imbianchini, e dopo l'occupazione francese, Kabili ed Arabi, già bersaglieri algerini, si sono recati a Susa in cerca di fortuna e, grazie alla loro conoscenza del francese, servono generalmente d'interpreti e di sovrastanti. I musulmani di Susa, di cui parecchi sono biondi con occhi azzurri, negano di essere Arabi: «Non siamo di Susa», esclamano con orgoglio(324). Alcune delle grosse borgate circostanti hanno, nei loro sparsi quartieri, una popolazione eguale o di poco inferiore a quella della città. Una di queste è Kelaa Kebira, tredici chilometri a nord-ovest; un'altra, undici chilometri a sud-ovest, è Msáken, ricinta d'una folta foresta di ulivi.
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