In una gola vicina del monte Zaguan si trova il luogo della «Sega», dove, alla fine dell'atroce guerra che mise in pericolo le sorti di Cartagine, furono uccisi i mercenari.
Le posizioni grandiose o graziose si succedono tutto lungo il giro del gruppo montuoso, ma il più incantevole paesaggio è quello attorno il ninfeo della grande sorgente, grifone principale dell'acquedotto di Cartagine. Questo tempio, eretto 2 chilometri a sud di Zaguan, sopra una terrazza a metà del pendìo della montagna, è costrutto sulla roccia viva ed è formato da peristili, da scaloni, da bacini, la cui bianchezza contrasta con la verdura degli alberi e coi colori variati delle roccie scoscese sul pendìo del monte. Il tubo d'acqua di Zaguan va a raggiungere quello del giebel Giugar, che apporta minor quantità di acqua, e le due correnti si uniscono nell'acquedotto romano, ora ristaurato, che si sviluppa a nord verso Tunisi e la Goletta per una totale lunghezza di 131 chilometri, comprese le ramificazioni. Le parti sotterranee dell'acquedotto furono in gran parte messe a profitto dal canale, ma in luogo delle lunghe fila d'arcate, con cui si superavano le depressioni del suolo, ora furono posti tubi a sifone traverso la terra. A sud del passaggio dell'ued Melian, un tronco dell'antico acquedotto continua senza interruzione più di 2 chilometri; alcuna delle sue arcate s'eleva all'altezza di 25 metri, ma quasi dovunque le rovine dell'acquedotto non sono che brevi frammenti, visitati a gara dai costruttori dei dintorni e spogliati del loro rivestimento di massi a faccette.
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