In molti vicoli, l'officina è accosto alla bottega; si tesse la tela, si divide la lana, si tingono i chechias, si batte il cuoio alla presenza dei compratori e dei passeggieri che si pigiano nello stretto andito; qua e là si scorgono rampe di scale e da una porta semiaperta appare fra le arcate una corte quasi deserta: è una scuola religiosa od una moschea, tranquillo ritiro circondato dal tumulto. Nel quartiere de' mercati si vedono pochi animali, appena alcuni asini; ma le contrade de' sobborghi che conducono alle porte della città sono ingombre di cavalli, di muli, di cammelli, fra cui passano a stento le vetture che vanno balzelloni sulle pietre e nel fango.
Da quartiere a quartiere predominano tipi di nazionalità differente. Nella parte alta della città stanno i Tunisini propriamente detti, ai quali sono frammisti, nel sobborgo di Bab es-Suika, i discendenti dei Mori Andalusi. Alteri dell'antica fama di giudici del buon gusto nel Maghreb, gli eleganti tunisini primeggiano nella scelta delle stoffe per il vestito, sempre di tinte chiare: azzurro chiaro, rosa chiaro, color pesca o crema; sulle loro spalle l'haik è sempre rivolto con grazia. Le donne tunisine però, che tengono troppo cara la pinguedine, non fanno, come i mariti, bella mostra di vestire. È difficile, nonostante la bellezza delle sete screziate, di non restare stomacati nel vedere codesti ammassi di carne dondolare sconciamente nelle larghe e troppo corte sottane, mostrando le strette mutande e le calze male adattate.
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