In altri tempi furono foreste e sono ancora tutti indicate come tali: perchè riprendessero la loro natura boscosa basterebbe impedirne il diradamento e gli incendi. La foresta tende dovunque a ricostituirsi, giacchè intorno ad ogni cedro si vedono la primavera centinaia di rampolli rossastri rizzare la cima; ma con un sol colpo di lingua una vacca passando manda a male alcune piante. Già devastati dai Romani, che distruggevano intere foreste per cercare il prezioso citrus, il thuya articulata, i cui ceppi erano pregiatissimi per le picchiettature e tinte nere, i boschi dell'Algeria che si erano ricostituiti sulle montagne, sono di nuovo distrutti dai carbonai e dai ricercatori di corteccie: alcuni depredatori abbattono alberi per far de' rami bastoni. Ora vaste «foreste» che prendevano centinaia di chilometri quadrati, non hanno più un albero, ma solo basse piante legnose ed arbusti di uno a tre metri d'altezza, quali lentischi, rannoidi, giuggioli, corbezzoli, mirti, eriche. Vi sono pure numerose, quanto nelle macchie dell'Andalusia, le leguminose, quali ginestre e spartee; vi si vedono pure ceppi di quella thapsia garganica, già sì famosa in Cirenaica col nome di silphium, apprezzatissima pure dagli Algerini che la chiamano bû-nafa, «padre dell'utile». Formano quasi intere vastissime macchie le palme nane, disperazione dei dissodatori di terreno in causa della loro tenacità e dell'intrecciamento delle radici, delle quali piante in alcuni luoghi vengono adoperate le fibre a far panieri, corde, crine vegetale.
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