– Quando, nel 1838, i Francesi sbarcarono sulla spiaggia di Rusicada per istabilirvi uno scalo di vettovagliamento, tre volte più vicino a Costantina che quello di Bona, di cui fino allora si erano serviti, non trovarono in codesto luogo che casupole rannicchiate a piè di muraglie in ruina. L'area della città fu comperata dagli indigeni con 150 lire. Da allora la maggior parte dei monumenti disparve, metodicamente distrutti per costruire l'immenso quadrilatero dei bastioni che segue la cresta delle colline ad est e ad ovest della città, racchiudendo case e vasti terreni inabitati. Non restano che le rovine d'un teatro in parte scavato nella roccia, numerose cisterne, bellissimi mosaici e diversi monumenti raccolti ne' musei, statue, busti, urne, iscrizioni.
La città è costrutta in un burrone, fra due creste di alture: ad ovest il Bu-Iala, ad est il giebel Addun. La contrada principale, fiancheggiata, quanto è lunga, da case a portici, tiene il posto dell'antico ued e da ambe le parti le contrade traversali salgono su per le colline, con forti rampe o con lunghe scale. Con questa disposizione delle contrade, Philippeville ha qualche rassomiglianza con la parte centrale della Valletta, la capitale di Malta; ma non ne ha la pulizia e l'eleganza di architettura. Dal lato del mare, la città termina con una terrazza elevata, donde si vede a' piedi la spianata della darsena, costrutta sopra le acque, ed il grande bacino del porto circondato di gittate. La parte interna della darsena ha 19 ettari di superficie e l'avamporto, non ancora sufficientemente riparato, prende maggiore spazio.
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