Anche i negri vi sono assai numerosi, molti più anzi che nella capitale del nord. Gli Ebrei, che ora sono protetti dall'alleanza israelita, sono confinati, come in quasi tutte le altre città del Marocco, dietro i bastioni d'un mellah, comune prigione da cui non possono uscire che scalzi e gli occhi bassi.
      Per quanto grandiosa all'esterno, Marrakech ha nell'interno l'aspetto d'una città decaduta. La sua cinta misura circa 12 chilometri, non compreso il muro del parco imperiale che è a sud della città, ed è interrotta da larghe breccie; le vie che corrispondono alle sette porte daziarie, hanno in alcuni luoghi, più che case, macerie, le quali ultime occupano insieme coi giardini metà dello spazio compreso dalle mura. Vicino alle porte le vie sono assai larghe, ma verso il centro della città formano un labirinto di stretti passaggi ingombri di lordure, che dovrebbero essere fatte portar via dai fabbricatori di polvere che raccolgono il salnitro dalle mura umide. La maggior parte delle case sono sordide, i monumenti cadenti: uno solo è bene conservato, la moschea di Kutubia o meglio dei Kutsubia, cioè dei «Calligrafi», così chiamata dai copisti che tengono il loro ufficio a lato del luogo santo(941). Sembra che l'alta torre dominante la moschea sia stata costrutta dallo stesso architetto della torre di Hassan a Rbat e della Giralda di Siviglia, delle quali è contemporanea. Delle tre questa è la più bella e la più alta: sulla piattaforma merlata essa ha un chiosco rabescato di scolture, la cui cupola, sormontata da tre sfere dorate, si innalza a più di 82 metri(942). Sembra che due porte di Marrakech, una che adduce nel palazzo, l'altra in una moschea, siano state trasportate pezzo per pezzo dalla Spagna.