In quanto al Tarso, il masso del nord percorso da Nachtigal, è certamente irto di vulcani. Ivi il Tibesti si arrotonda sopra alcune pianure mediante un largo dorso facilissimo a salire, che è una specie di piedestallo alto circa 1000 metri, sopra cui sono formati numerosi emi o monti, gli uni isolati, gli altri allineati in creste, che sono coni di eruzione sorti sopra crepacci dell'altipiano, coprendo di lave e di cenere le roccie di origine sedimentaria. Sulle chine si stende uno strato di lapilli, su cui si cammina come sulla sabbia nei viali d'un giardino.
N. 149. – TIBESTI SETTENTRIONALE.
Il Tussidè, che è il gran cono del gruppo, sorge a 2,500 metri, ed ha a fianco, su uno de' suoi versanti, un monticello avventizio che fu già una fumarola; non lungi dalla scarpa meridionale, 300 metri sotto la cima, si apre un cratere che Nachtigal dice profondo circa cinquanta metri e largo da volerci «tre o quattro ore» a girarlo. Dalla superficie compatta del suolo circostante alla bocca dell'imbuto, la caduta è improvvisa, poi il pendìo diminuisce grado grado verso il fondo; linee di lava nera convergono dalla circonferenza nel centro, separate le une dalle altre da striscie di sale biancastre che somigliano a strie di neve ne' crepacci d'un circo di montagne; il mezzo del cratere è segnato da un piccolo cono di eruzione esso pure terminante con una calotta ripiena d'una sostanza biancastra che i Tibbu chiamano «carbonato di soda». Il vulcano ed il cratere della base non sono i soli testimoni della natura vulcanica del paese, ora quasi asciugato con gli antichi mari interni che bagnavano la base occidentale del gruppo.
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