Codesta robusta razza di gente è ben poco soggetta a malattie: quasi sconosciute vi sono il verme di Guinea, la tenia degli Abissini, la lebbra degli Arabi, le epatiti sì comuni ne' paesi caldi, la dissenteria, tanto temuta nelle regioni del litorale africano, le febbri di infezione; la sifilide non è fra loro comparsa, nè si vedono scrofolosi nè rachitici, nè vi fecero capolino le epidemie, tranne il vaiolo; rarissime le affezioni di petto, sicchè si può dire che, stante la forzata astinenza, l'eccellente aria ed il lavoro, quelli del Tibesti siano le persone più rispettate dalle malattie. I Teda resistono alla fame giorni interi; quando si perdono nel deserto nè hanno acqua nè cibo, passano il giorno all'ombra, senza moto, nè viaggiano che la notte; se trovano un osso di cammello lo raccolgono per tritolarlo e farne una specie di pasta cui mescolano col sangue tratto da una vena della loro cavalcatura. Quando lo stupore della fame comincia ad invaderli, ultimo tentativo di salvezza è di attaccarsi fortemente al dosso dell'animale che, forse per istinto, arriverà al più prossimo attendamento.
      Ne' Tibbu la sagacità e l'intelligenza non sono meno notevoli che la loro forza o la loro bellezza, giacchè la necessità, grande educatrice, ha svolto il loro spirito come aguzzati i sensi. Nel deserto sanno dirigersi con una specie di divinazione incomprensibile all'Europeo; sorprendentemente abili in ogni genere di affari, sono eloquenti, furbi, ricchi di invenzioni. Di essi quelli che si stabiliscono come mercatanti nelle oasi circostanti la vincono facilmente sui competitori arabi o negri, giacchè hanno bensì una certa civetteria, ma ciò non ostante mirano sempre all'interesse pratico.