La società dei Tibbu non è basata sull'eguaglianza, giacchè ogni valle ha i suoi principi o dardai, i suoi nobili o maina e le genti del popolo; nondimeno i gentiluomini non hanno che un potere assai limitato, perchè il costume è sovrano, nè essi hanno soldati per far eseguire gli ordini, nè imposte che permettan loro di acquistare aderenti. Ma essi decidono come giudici in quella parte di processi che la vendetta non deve lavare nel sangue; discutono pure le questioni di pace e di guerra ed i loro consigli sono generalmente ascoltati con deferenza. Ciascun nobile ha sui plebei altri privilegi oltre a quello di poter vantare la sua nascita. Come nella società, il governo non è dispotico neppure nella famiglia. La donna, di cui in generale si vantano le virtù, quali ordine, proprietà, abilità negli affari, fedeltà coniugale, è ritenuta eguale allo sposo, il quale assai di rado diviene poligamo, sebbene ciò gli sarebbe acconsentito dall'Islam: però gli emigranti temporanei menano di ordinario una seconda donna nel paese straniero dove si recano. Il matrimonio generalmente è preceduto da un lungo periodo di sponsali considerati un legame forte quasi quanto il matrimonio stesso: se il fidanzato muore, la sposa diventa moglie del fratello o del più prossimo parente di lui. Ivi il cangiamento di stato prodotto dal matrimonio è, come presso i Cafri e parecchi altri popoli africani, un avvenimento di tale importanza, che tutti devono serbarne il segreto; la donna specialmente deve astenersi pudicamente dal farvi la più piccola allusione.
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