La Francia si slanciò anche su questa via con un lirismo ammirabile. I discorsi e gli scritti di Duponchel, di Gazeau de Vautibault, di Soleillet e di altri promotori della gran linea fecero credere che potrebbe diventare in breve volgere d'anni e senza difficoltà straordinarie un fatto compiuto. Pareva loro che l'alfa sarebbe bastato ad alimentare la nuova ferrovia, che gli Arabi dell'Algeria, i nomadi del Sahara ed i musulmani del Sudan avrebbero secondata ed applaudita la grande opera di civiltà. Il Sudan, diceva Duponchel, non ha alcuno sbocco facile e naturale, ed è popolato di 50 milioni d'abitanti, solcato da grandi fiumi, ferace come tutte le regioni tropicali dove non manca l'acqua. La canna da zucchero, il caffè, l'indaco vi crescono spontanei; c'è avorio e penne di struzzo, e la polvere d'oro serve di moneta a molte tribù e Stati. Mancano invece i prodotti europei, sono scarsi i cereali, carissimo il sale, ignoti tutti i raffinamenti della civiltà(1106).
Noi sappiamo però dai viaggi di Barth, Denham, Clapperton, Nachtigal, che non riesce agevole penetrare in questi Stati, ed è giocoforza, nei quadri seducenti di coloro che ne toccarono appena le soglie, aggiungere di molte ombre. Sono popoli sempre in guerra fra loro, di pochi bisogni, ferocissimi, fanatici, tra i quali appena restano i segni di una civiltà antichissima. Bisognerebbe prima rigenerare questi popoli, elevarli, educarli a sensi civili, poi farne dei consumatori. E quanto al gran deserto, che la linea dovrebbe attraversare, sebbene non meritino più fede i paurosi racconti dei nonni, neanche si può credere di potere proprio coprire di boschi le dune mobilissime e fissare le traversine sopra un suolo continuamente scompigliato dai venti.
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