Nei primi anni del nuovo Regno, non si pensò a colonie, e il pensiero di Tunisi era tanto lontano da noi, che si può dire ci venne prima suggerito dagli stessi Francesi. Essi non si limitavano soltanto a dire che l'Algeria per la Francia era sin troppo(1107); ci consigliavano francamente, apertamente, di farci innanzi, di pigliare il posto che ci era riserbato, di concorrere colla Francia e mettiamo pure dietro ad essa, a trar fuori dalle tenebre e dalla barbarie quell'immenso continente, impresa alla quale non bastavano gli sforzi di una sola nazione, nè di due. «Gli Italiani, – scriveva nel 1863 E. Reclus – figliuoli di quei Romani che primi portarono la civiltà nella provincia d'Africa, sembra abbiano per missione di riattaccare in modo definitivo questo paese al mondo europeo. Senza dubbio la crescente agevolezza delle comunicazioni, le esigenze del commercio internazionale, la forza d'attrazione delle colonie già esistenti, aumenteranno il numero degli emigranti italiani domiciliati sul litorale tunisino, a poche ore appena da Palermo e da Cagliari. Tutti i progressi dell'Italia gioveranno alla sua antica provincia. Risuscitando, la patria di Attilio Regolo e degli Scipioni non si rialzerà sola; evocherà dalla tomba la sua antica rivale, quella Cartagine ch'essa ha soggiogata e distrutta»(1108). Ma per non dilungarmi in citazioni soverchie, ricorderò la nota offerta di Napoleone III, non accolta da noi, – si vede che a quel tempo Francesi e Italiani pensavano a un modo in fatto di colonie, come in troppe altre cose – di spartire la Tunisia per guisa, che la Francia portasse il suo confine alla Megierda.
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