E se bene tutto giorno scorghiamo da' cadaveri degli animali e da tutte quante le maniere dell'erbe e de' fiori e de' frutti imputriditi e corrotti nascere vermi infiniti,
Nonne vides quaecunque mora fluidoque caloreCorpora tabescunt in parva animalia verti?
io mi sento, dico, inclinato a credere che tutti quei vermi si generino dal seme paterno, e che le carni e l'erbe e l'altre cose tutte putrefatte o putrefattibili non facciano altra parte né abbiano altro ufizio nella generazione degl'insetti se non d'apprestare un luogo o un nido proporzionato in cui dagli animali nel tempo della figliatura sieno portati e partoriti i vermi o l'uova o l'altre semenze dei vermi, i quali, tosto che nati sono, trovano in esso nido un sufficiente alimento abilissimo per nutricarsi; e se in quello non son portate dalle madri queste suddette semenze, niente mai, e replicatamente niente, vi s'ingeneri e nasca. Ed acciocché, o Signor Carlo, ben possiate vedere che quello è vero ch'io vi dico, vi favellerò ora minutamente d'alcuni pochi di questi insetti che, come più volgari, agli occhi nostri son noti.
Secondo adunque ch'io vi dissi, e che gli antichi ed i novelli scrittori e la comune opinione del volgo voglion dire, ogni fracidume di cadavero corrotto ed ogni sozzura di qualsisia altra cosa putrefatta ingenera i vermini e gli produce; sicché, volendo io rintracciarne la verità, fin nel principio del mese di giugno feci ammazzare tre di quelle serpi che angui d'Esculapio s'appellano; e tosto che morte furono le misi in una scatola aperta acciocché quivi infracidassero; né molto andò di tempo che le vidi tutte ricoperte di vermi che avean figura di cono e senza gamba veruna, per quanto all'occhio appariva, i quali vermi, attendendo a divorar quelle carni, andavano a momenti crescendo di grandezza; e da un giorno all'altro, secondo che potei osservare, crebbero ancora di numero, onde, ancorché fossero tutti della stessa figura d'un cono, non erano però della stessa grandezza, essendo nati in più e diversi giorni, ma i minori d'accordo coi più grandi, dopo d'aver consumata la carne e lasciate intatte le sole e nude ossa, per un piccolo foro della scatola che io avea serrata se ne scapparon via tutti quanti, senza che potessi ritrovar giammai il luogo dove nascosti si fossero; per lo che fatto più curioso di vedere qual fine si potessero aver avuto, di nuovo il dì undici di giugno misi in opra tre altre delle medesime serpi; su le quali, passati che furono tre giorni, vidi vermicciuoli che d'ora in ora andarono crescendo di numero e di grandezza; ma però tutti della stessa figura, ancorché non tutti dello stesso colore, il quale ne' maggiori per di fuora era bianco e ne' minori pendeva al carnicino.
| |
Signor Carlo Esculapio
|