Columella si dichiaṛ che non voleva perderci il tempo, aderendo all'opinione di Celso, il quale non credette che si potesse mai del tutto spegnere la razza delle pecchie: onde superfluo sarebbe stato il cercarle tra le viscere de' tori. Magone peṛ, citato da Columella, insegna i soli ventri del toro essere a quest'opra sufficienti; e Plinio aggiugne esser necessario che ricoperti sieno di letame. Antigono Caristio, in quella sua Raccolta delle maravigliose narrazioni, vuole che un intero giovenco si seppellisca sotto terra, ma che peṛ rimangano scoperte le corna; dalle quali, tagliate a suo tempo con la sega, ne volano fuora (come egli dice) le api. Ad Antigono aderisce in gran parte Ovidio nel primo libro de' Fasti:
Qua, dixit, repares arte, requiris, apes?
Obrue mactati corpus tellure iuvenci.
Quod petis a nobis, obrutus ille dabit.
lussa facit pastor, fervent examina putriDe bove: mille animas una necata dedit.
Varrone nel libro secondo e nel terzo Degli affari della villa non si dichiara se necessario sia il seppellirlo, o se pure sia bene il lasciarlo imputridir sopra terra. Columella anch'egli di questa particolarità non parla; e non ne parla ancora Eliano nel secondo libro della Storia degli animali; e Galeno lo tace nel capitolo quinto di quel libro che egli scrisse: Se animale sia cị che nell'utero si contiene. Virgilio peṛ, nel fine del quarto della Georgica, pare che tenesse opinione che non fosse necessario il sotterrarlo, ma che bastasse lasciarlo nel bosco all'aria libera ed aperta:
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