Potrebbe qui forse esser mosso un altro dubbio, se per fortuna fosse avvenuto che le pecchie si fossero gettate a mangiar le carni di quel leone, ed in mangiandole vi avessero fatti sopra i loro semi o partoriti i loro cacchioni, da' quali nate poi le giovanette api avessero potuto nella tessitura di quell'ossa fabbricare i fiali del mele; e tanto più che questa fu l'opinione del Franzio, allora che nella Storia degli animali ebbe a favellare delle carni de' buoi. Ma io risponderei che le pecchie sono animali gentilissimi, e così schivi e delicati che non solo non si cibano delle carni morte, ma né meno su quelle si posano, e l'hanno incredibilmente a schifo. N'ho più volte in vari tempi ed in luoghi diversi fatta esperienza, attaccando de' pezzi di carne sopra ed intorno agli alveari; e mai le pecchie ad esse carni non si son volute accostare; e se voi, Signor Carlo, non lo voleste totalmente credere a me, datene fede per lo meno ad Aristotile nel cap. quarantesimo del IX lib. della Storia degli animali; credetelo a Varrone, a Didimo, che lo copiò da Varrone, al greco Manuel File che, cavando quasi interamente la su' opera da Eliano, fiorì ne' tempi o di Michele Curopalata, o vero di Michel Balbo imperatori di Costantinopoli:
Kai ze men hagnon e sophe schedon bion,
Ageustos ousa nekrikon sparagmaton
e finalmente a Plinio, che nell'undecimo libro lasciò scritto; Omnes carne vescuntur, contra quam apes, quae nullum corpus attingunt. Ma il buon Plinio, scordatosi forse poi di aver ciò riferito, contraddicendo a sé medesimo nel capitolo decimoquarto del ventunesimo libro scrisse: Si cibus deesse censeatur apibus, uvas passas siccasve ficosque tusas ad fores earum posuisse conveniet.
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