Item lanas tractas madentes passo aut defruto, aut aqua mulsa. Gallinarum etiam crudas carnes.
Considerando questa così manifesta contraddizione di Plinio, meco medesimo più volte ho temuto che nel ventunesimo libro potesse essere errore di scrittura, ma son uscito di dubbio imperocché, avendo confrontato questo passo con molti antichi testi a penna delle più celebri librerie d'Italia, in tutti ho trovato costantemente le stesse parole, sì come le trovo nell'antico Plinio stampato in Roma nel 1473 ed in quello di Parma del 1480. Vi è però questa differenza, che in tutti gli stampati ha: Gallinarum etiam crudas carnes; ma ne' manuscritti per lo più, e nelle Osservazioni del Pinziano si legge: Gallinarum etiam nudas carnes. Qual sia la miglior lezione lo potranno giudicare i critici; io quanto a me credo che Plinio scrivesse crudas carnes, e lo imparasse da Columella il quale nel capitolo quattordicesimo del libro nono insegnò che, quando mancava il cibo alle pecchie, alcuni costumavano intromettere degli uccelli morti non pelati negli alveari; e son queste esse le sue parole: Quidam exemptis interaneis occisas aves intus includunt, quae tempore hyberno plumis suis delitescentibus apibus praebent teporem: tum etiam si sunt assumpta cibaria, commode pascuntur esurientes, nec nisi ossa earum relinquunt. Ma strana cosa è il prurito grande che hanno gli scrittori di contraddirsi l'un l'altro; e di qui avvenne forse che Pietro Crescenzi volle che fosse data alle pecchie affamate non la cruda carne, ma il pollo arrostito.
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