Non la perdonano altresì alle carni umane: quindi è che Cointo Smirneo disse che i Greci in compagnia di Neoptolemo si scagliavano alla battaglia, come fanno per appunto le vespe quando, spiccandosi da' loro vespai, bramano pascersi di qualche corpo umano; e quel sovrano Poeta, che nelle sue divine opere
Mostrò ciò che potea la lingua nostra,
prese argomento di descriver favoleggiando le pene d'alcuni che nella prima entrata dell'Inferno erano tormentosamente puniti:
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
Erano ignudi e stimolati moltoDa mosconi e da vespe ch'eran ivi;
Elle rigavan lor di sangue il volto,
Che, mischiato di lagrime, a' lor piediDa fastidiosi vermi era ricolto.
Son ghiottissime le vespe de' serpenti, se merita fede Plinio, e con questo alimento, dic'egli, si rendono più velenose le loro punture: il che vien confermato da Eliano nel capitolo quintodecimo del libro nono della Storia degli animali, e nel capitolo decimosesto del libro quinto, dove rapporta che a bella prova corrono ad infettare il lor pungiglione col tossico della morta vipera: dal che l'umana malizia apprese poi l'arte d'avvelenar le frecce; ed Ulisse, come racconta Omero nell'Odissea, navigò in Efira per impararla da un cert'Ilo Mermerida; e d'Ercole, molto prima che d'Ulisse, si racconta che rendesse mortifere le sue saette col sangue dell'Idra. Non è però già da credere che diventino avvelenate le punture delle vespe e de' calabroni per essersi cibati della carne di qualsisia serpe indifferentemente; imperocché questo caso allora solamente si può dare quando abbiano tuffati gli aghi loro in quel pestifero liquore che sta nascosto nelle guaine che cuoprono i denti canini della vipera o degli altri a lei simili serpentelli, come fu da me accennato nelle mie Osservazioni intorno alle vipere.
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